Nella retorica di questi giorni, la fanno da padrone tutte le considerazioni sul fatto che saremo più umani, che cambieremo la nostra percezione della vita, del piacere di rincontrarsi e tutte quelle cose molto mielose che affermiamo, consapevoli della grande quantità di balle che escono dalle nostre bocche. Non saremo migliori, non saremo più umani e, forse, il distanziamento sociale ci farà anche un po’ comodo per evitare inutili smancerie. Di questi giorni, che nessuno avrebbe immaginato di dover vivere, forse quello che più mi ha colpito è stato il “silenzio interrotto”. Chiusi in casa, vivendo le montagne russe dei nostri stati d’animo ( in un’ora si passava dall’euforia alla depressione con un’incoerenza da far invidia a un Di Maio qualsiasi ), la nostra colonna sonora è stata data dal silenzio ovattato che circondava le nostre case. Il silenzio interrotto sporadicamente da qualcosa che ci riportava, per pochi attimi, alla realtà: un pianto capriccioso di un bambino, un vaffanculo esploso in una convivenza familiare, il canto da un balcone, le segnalazioni vocali del delatore urlante di turno ( turno di guardia da osservatore di strada ). La durata di queste interruzioni è sempre stata breve, facendoci sprofondare nel silenzio innaturale delle nostre città deserte. Le interruzioni ci hanno fatto vivere sprazzi di normalità in un deserto di voci e rumori che mai avremmo pensato di vivere. Non ho nostalgia né del silenzio e neanche di quelle brevi interruzioni, poiché sono legate entrambe ad un qualcosa che non avrei voluto vivere. In una vita normale sicuramente i silenzi così prolungati e ovattati non li vivremo più e quelle interruzioni diventeranno la vita normale senza l’amplificazione causata dal silenzio stesso. Non avrò nostalgia di tutto ciò e non ricamerei sulla retorica del “si stava meglio quando si stava peggio”, ma una cosa è certa, non sentire più il delatore da balcone, sarà per me una fonte di gran gioia.