mercoledì 29 luglio 2020

terra - racconti brevi

C’è Giuseppe che lavora sodo e non riposa mai, Margherita che lavorando nei campi è riuscita a crescere tre figli. Poi ci sono quelli che si spaccano la schiena per far sì che la terra riesca a dare i suoi frutti, seminando e raccogliendo tutto ogni anno. Un paese che sa solo lavorare la terra, ringraziandola ogni giorno che passa, un paese che è difficile trovarne ancora. La vita scorre tra la fatica e la terra, come una contaminazione continua tra uomini e natura. Una paese che suda ma che sa gioire e vivere in compagnia. Unico svago è vedersi tutti alla taverna la sera per bere, mangiare e sentire un po’ di musica. Non si esagera a bere e neanche a mangiare ma la musica, mette talmente tanta allegria, che non smetteremmo mai di ballare: la mattina tutti a spaccarci la schiena, la sera tutti a ballare. La fatica non la senti quando sei in buona compagnia e il nostro piccolo paese vive di allegre compagnie. I ragazzi che vanno via per cercare un futuro migliore, quando tornano non fanno altro che piangere guardandoci lavorare e divertirci. Piangono proprio, e noi sorridiamo ancora di più. Quando suonano le campane iniziamo, quando più tardi le risentiamo, smettiamo tutti. Queste cose non le può capire chi vive in città, non le comprendono i “civilizzati”, quelli che quando ci incrociano per strada sorridono e ci prendono in giro. Le loro comodità non ci fanno gola, la loro “civiltà” neppure. Forse non gireremo il mondo e non ci immergeremo mai nei loro mondi virtuali, ma vuoi mettere il contatto con la natura? Noi siamo tutt’uno con la terra: la coltiviamo, la rispettiamo e la respiriamo. I ragazzi quando tornano entrano in un’altro mondo e piangono al pensiero di dover ad andar via. Continueremo a faticare e a sorridere alla terra, continueremo a ballare quando si fa buio. Continueremo a sentire le campane per andare e le campane per tornare. Siamo il paese della terra, siamo il paese che non esiste più. I ragazzi tornano e ci vedono ballare per poi tornare nella “civiltà”. Non abbiamo auto, non abbiamo tram, non abbiamo moto, non abbiamo caos. Ci basta un seme e raccoglieremo, ci basta la musica e balleremo. L’unico problema è riuscire a trovarci, non esiste una carta geografica che dica dove siamo, e sinceramente, neanche ci importa tanto. I ragazzi che se ne sono andati, quando gli chiedono il luogo di nascita, rispondono “il Paradiso”, ed è così che tutti noi chiamiamo il nostro paese: Paradiso. Non ci sono Santi o angeli, c’è solo terra da lavorare, lavorare, lavorare. Ieri è arrivato un forestiero e ci ha fatto i complimenti per tutto ciò che facciamo, ci ha visti andare nei campi e sudare tutto il giorno e festeggiare la sera in osteria. Non voleva più lasciarci e ci ha chiesto di rimanere a vivere qui. Lo abbiamo accolto dandogli un piccolo terreno su cui lavorare. Ci è sembrato contento, un po’ meno quando gli abbiamo dato il vestito che dovrà indossare tutti i giorni. A noi invece piace molto, dalle nostre parti mancava uno spaventapasseri con i calzoni alla zuava.